Cavalieri Alati della Grande Guerra

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Il 24 maggio 1915, l’Italia iniziava le sue ostilità con l’Austria-Ungheria e Medeuzza, situata a ridosso del confine e circondata da una zona favorevolissima all’atterraggio di aerei, visse una pagina di storia che ricordava le antiche tenzoni cavalleresche. Qui, infatti, venne creato sin dal giugno 1915 un campo d’aviazione che rimase intensamente operativo fino alla disfatta di Caporetto e che inizialmente ospitò il Comando dell’unico Gruppo Aviazione per l’Artiglieria -agli ordini del Maggiore (poi Tenente Colonnello) Amedeo de Siebert- dal quale dipendevano le 5 squadriglie di stanza nei campi di Medeuzza, Oleis e Gonars e che venne trasferito a Oleis alla fine di quell’anno. Il 2 luglio 1915, giorno in cui il campo venne bombardato senza danni dagli austriaci, qui erano di stanza la 1.a e la 2.a Squadriglia per l’Artiglieria; il compito di queste unità appena nate, e che volavano rispettivamente su 6 biplani Caudron e su 6 instabili monoplani Macchi-Parasol, consisteva nell’osservazione e nella ricognizione finalizzate a dirigere i tiri delle nostre artiglierie sugli obiettivi nemici individuati e ampiamente fotografati. La 1.a Squadriglia partecipò in luglio alle operazioni di San Michele e il 4 agosto venne trasferita nel vicino campo di Bolzano; la 2.a Squadriglia, invece, rimase qui fino alla fine dell’anno e partecipò sia alle operazioni di San Michele, in luglio, che alla battaglia dell’Isonzo, in ottobre, mentre a metà novembre i suoi Macchi-Parasol vennero finalmente sostituiti coi più maneggevoli Caudron. Nel frattempo, dal 18 luglio al 3 agosto, vennero qui assegnati i 4 Farman della decoratissima 10.a Squadriglia di Ricognizione e Combattimento impiegati nella 2.a battaglia dell’Isonzo. Il 7 settembre, un altro bombardamento, compiuto da 8 apparecchi austriaci in due riprese da quattro aerei ciascuna, si abbatté sul campo di Medeuzza e sull’accampamento del 132° Rgt. Fanteria a Bolzano, scaricando 34 ordigni fra incendiari ed esplosivi lanciati da quote variabili fra i 2.500 e i 3.000 metri d’altezza: solo un aereo riuscì a decollare per contrastare l’attacco, ma essendo troppo pesante e inadatto alla caccia, ora che prese quota i velivoli nemici si erano già dileguati; benché gli unici morti caddero a Bolzano e i danni al campo d’aviazione si limitarono alle attrezzature della cucina e ad alcuni fori da scheggia negli hangar, il Re Vittorio Emanuele III volle comunque venire per accertarsi personalmente dell’accaduto. A questa visita illustre ne sarebbe poi seguita un’altra l’anno successivo e cioè quella del Duca Emanuele Filiberto d’Aosta, Comandante della III Armata. Il 24 settembre, la 2.a Squadriglia venne rinforzata dalla 3.a Squadriglia per l’Artiglieria (che all’epoca aveva in dotazione 4 Macchi-Parasol poi sostituiti in novembre dai Caudron), ma vennero provvisoriamente spostate entrambe, assieme al Comando Gruppo, in altri campi a causa di un pesante cannoneggiamento di 30 pezzi da 130 mm. operato dall’artiglieria austriaca il 15 dicembre 1915. I continui attacchi e bombardamenti a cui era sottoposto il campo confermano l’importanza che quest’ultimo aveva per le nostre forze armate: il Conte Enrico de Brandis annotò nel suo diario (11 ottobre) che v’erano aerei nemici quasi ogni giorno e che in quella data gettarono sul campo 4 bombe poi inesplose. Alla fine dell’anno le unità rientrarono comunque a Medeuzza, ma già in febbraio la 3.a Squadriglia andò a Gonars e la 2.a a Risano. Difficile è dirsi quali altri reparti, sempre che ce ne siano stati, utilizzarono questo campo mentre la 2.a e la 3.a venivano dislocate e impiegate altrove, cambiando nel frattempo la numerazione in 42.a e 43.a e venendo inquadrate nel 5° Gruppo della III Armata (gia 1° Gruppo Aviazione per l’Artiglieria). La 43.a ritornò qui provvisoriamente per poi andare dapprima a Gris (Gonars) nel febbraio 1916, tornare a Medeuzza e cambiare quindi parecchi altri campi partecipando a un’intensa attività bellica. La 42.a fece la sua ricomparsa nel campo nel settembre 1916, dopo esser stata impiegata in svariate operazioni sul Carso e in Trentino, e vi rimase forse ininterrottamente fino al suo scioglimento avvenuto il 15 ottobre 1917. Appoggiò dapprima le offensive di novembre, agendo intensamente sul Pasubio, poi quella dell’XI Armata in maggio, effettuando ricognizioni a bassa quota sui reticolati nemici, e infine l’offensiva di agosto, durante la quale compì anche alcuni bombardamenti. Il 18 luglio 1917, quindi quasi un anno dopo, partecipò assieme alla 43.a Squadriglia (tornata a Medeuzza il 26 settembre coi suoi 15 apparecchi fra Caudron e Farman) all’XI battaglia dell’Isonzo e nel campo medeuzzese le due squadriglie vennero definitivamente sciolte il 15 ottobre 1917, concludendo onorevolmente la loro attività bellica che annoverava 850 voli per la 42.a (meritando ai suoi piloti 6 medaglie d’Argento e 5 di Bronzo) e 500 voli per la 43.a (i cui uomini ottennero ben 12 medaglie d’Argento e 3 di Bronzo). L’ultimo reparto qui dislocato di cui abbiamo notizia è la 39.a Squadriglia da Ricognizione e Combattimento che nei giorni tragici di Caporetto (24 ottobre 1917) partecipò alla XII battaglia dell’Isonzo. Una lapide ricorda ancor oggi l’esistenza di quel campo, motivo chissà quante volte di paure e di temerarie fantasie dei medeuzzesi che per oltre due anni assistettero al librarsi rombando nel cielo di quegli aerei che oggi potrebbero apparire sì, agli occhi di qualcuno, delle goffe e fragili trappole volanti (gli incidenti erano infatti frequentissimi e bastava un violento temporale per costringere gli apparecchi a degli atterraggi di fortuna, come ad esempio accadde proprio nel campo di Medeuzza al Serg. Carlomagno Grandinetti, della 44.a Squadriglia, il 28 giugno 1916), ma che allora rappresentavano al tempo stesso sia i più arditi e avveniristici mezzi della tecnologia bellica che l’ultimo bastione dello spirito cavalleresco così ben incarnato da quei piloti coraggiosi -spesso meritevoli d’una medaglia solo per salire su certi apparecchi-, élite militare quasi uscita dalle “Chansons” medievali. E proprio a Medeuzza si compì una vittoria-simbolo entrata nella leggenda e che riesce nella sua descrizione più d’ogni retorica a dipingere esaurientemente quel codice d’onore antico. Dopo numerosi allarmi e relative sortite senza contatti col nemico, il 7 aprile 1916 si levavano in volo di prima mattina un Nieuport XI (aerei detti per le loro dimensioni “Bebé”) pilotato da un giovane Tenente di Cavalleria (l’Aeronautica non esisteva ancora) e un Nieuport X, entrambi della 1.a Squadriglia Caccia; quel giorno non vi fu soltanto la prima vittoria di quella squadriglia, ma anche quella del giovane Tenente il cui nome verrà consegnato alla leggenda: Francesco Baracca. Mentre il Nieuport X avrebbe poi abbattuto un Brandenburg austriaco, i cui due uomini d’equipaggio vennero catturati, il “Bebé” 1451 di Baracca raggiunse per primo un altro Brandenburg avvistato fra Palmanova e Cormòns, iniziando così il vertiginoso duello fra una raffica di mitraglia e l’altra. Al suolo i nostri soldati assistevano allo spettacolare combattimento celeste e accorsero urlando di gioia per la vittoria sul luogo ove l’aereo austriaco dovette forzatamente atterrare. Da esso scese il giovanissimo pilota, il Serg. Adolf Ott, mentre l’osservatore, il Ten. Franz Lenarcic, era riverso al suo posto col braccio a penzoloni fuori della carlinga: i soldati italiani lo estrassero dal suo aereo e pochi istanti dopo egli spirò per le ferite riportate durante lo scontro; fra gli italiani calò un rispettoso silenzio e al corpo esanime adagiato sul prato essi tributarono gli onori militari. Nel frattempo, al suolo scese pure il biplanino di Baracca che, nella sua figura elegante, si fece largo fra i militari che lo festeggiavano e si diresse verso l’apparecchio da lui vinto, raggiungendo il corpo del nemico caduto, davanti al quale scattò sugli attenti in segno di cavalleresco tributo. Poi, come scrisse in una lettera inviata ai genitori, parlò a lungo col pilota austriaco “stringendogli la mano e facendogli coraggio perché era molto avvilito; veniva dal fronte russo, doveva aver guadagnato la croce di guerra e la medaglia al valore che portava sulla sua uniforme azzurra. Non aveva potuto salvarsi dalla mia caccia, e mi esprimeva la sua ammirazione con le poche parole in italiano che sapeva”. Quella sarebbe stata la prima delle 34 vittorie riportate da Francesco Baracca, a cui è stata intitolata una via a Medeuzza: in memoria di tale episodio venne coniata una medaglia di bronzo raffigurante, sul recto, la Vittoria alata affiancata da numerosi apparecchi in volo, che regge due corone d’alloro e, sul verso, un motore a sei cilindri nel centro e le scritte “SCONTRI AEREI 7-4-1916” e “MEDEUZZA CORTELLO 1.a SQUADRIGLIA NIEUPORT”.