Annunciatori del Vangelo

Leggendo il Vangelo di Luca, viene spontanea la domanda: a chi è affidato l’annuncio evangelico, agli apostoli o a tutti i discepoli? L’invio dei settantadue lascia intravedere chiaramente che il compito di annun­ciare il Vangelo non è solo degli apo­stoli ma di tutti i discepoli, di tutti colo­ro che hanno accolto il messaggio evangelico. Il Codice di diritto cano­nico (la legge della Chiesa), al n. 204 così recita: “I fedeli so­no coloro che, essendo stati incorpo­rati a Cristo mediante il battesimo, so­no costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel loro modo proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e re­gale di Cristo, sono chiamati ad attua­re, secondo la condizione giuridica propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compie­re nel mondo”.
È importante notare che la missionarietà non dipende dall’iscrizione a un’asso-ciazione o dall’essere inquadrato in un movimento cattoli­co, ma deriva imme-diatamente dal battesimo e dalla parte-cipazione al­la triplice dignità sacerdotale, pro­fetica e regale di Cristo.
Una lunga e perversa tradizione ha affidato il compito di annunciare il Vangelo ai sacerdoti, riducendo i fedeli ad ascoltatori. Il cammino di responsa­bilità comunitaria è molto in diffi­coltà anche dopo il Concilio. Oggi poi nella Chiesa sta prendendo pie­de un nuovo centralismo che diffi­da dei laici e delle novità. Le speranze del Concilio, che avevano destato una primavera nella Chiesa, stentano a farsi stra­da.
C’è bisogno di una presa di co­scienza forte da parte dei laici nel rivendicare il proprio ruolo. Forse la mancanza di sacerdoti sarà de­terminante per un cambiamento di rotta. Purtroppo certe verità si fanno strada solo quando c’è necessi­tà, passando da affermazioni teori­che a vita pratica.
Gesù raccomanda: “Non portate borsa, né bisaccia, né sandali...”. Sono soprattutto due le caratteristiche che nascono dall’af-fermazione evangelica: la precarietà e la radicalità.
Tutto diventa precario, eccetto il Vangelo, quando al centro mettiamo le persone. C’è poi una radicalità che è dispo­nibilità ad andare fino in fondo nell'amare il prossimo, nel mettere gli altri al centro di ogni nostra preoccupazione.