Gratitudine nella salute e nella malattia

Francesco d’Assisi invi­tava i suoi fratelli a ripetere spesso questa espressione: “Restituiamo al Signore Dio tutti i beni, perché tutti sono suoi e di tutti rendiamo grazie perché procedono tutti da lui”. Non c’è niente che non abbiamo ricevuto da Dio. Restituire e ridonare a Dio ciò che egli ci ha donato è professare la fede in lui come Creatore, è esercitare il sacerdozio cosmico proprio dei battezza­ti.
Uno degli ostacoli più grandi che paralizza in noi lo slan­cio della gratitudine consiste nel ritenerci bastanti a noi stessi, nell'assumere i lineamenti dell'uomo “autarchico”, che ritiene di ave­re in sé le risorse per affrontare evenienze e realizzare conquiste di ogni tipo, e considera tutti gli altri come oggetti funzionali a sé. Chi si pone al centro del proprio universo vede bene solo i di­ritti che gli spettano, ciò che gli è dovuto e nient’altro; nella cam­pana di vetro del suo egocentrismo diviene un idolo somigliante ad un bambino capriccioso. Lo spazio della gratuità viene chiu­so: le relazioni sono determinate da interessi calcolati, dove con­ta quello che si fa e si ha.
I dieci lebbrosi che grida­no aiuto da lontano perché non pos­sono stare con gli altri sono il simbo­lo di molti malati della nostra epoca. Ci sono dei malati e delle malattie che emarginano e ci fanno sentire soli. Il malato è visto come uno che rompe l’incantesimo della salute, è uno che ci costringe a pensare, a ri­vedere molti nostri atteggiamenti, ci obbliga a porci interrogativi che la nostra cultura vuole evitare. Dopo aver creato il tabù della morte si è creato anche il tabù della malattia, fi­no al punto che possibilmente il ma­lato deve essere portato all’ospeda­le, guai se dovesse morire in casa, sarebbe un imbroglio. La comunità cristiana è chiamata a farsi attenta su questa realtà e parlare di quello che nessuno vuole sen­tire. Bisognerebbe che fosse rivissu­to il sacramento degli infermi pur­troppo confuso per molto tempo col sacramento dei moribondi. La malattia può esse­re un momento molto importante di maturazione; ci costringe a rivede­re molte cose, ciò che è essenziale e ciò che è secondario. In un libro di Frère Ro­ger Schutz si leggono alcune parole raccolte dalla bocca di un malato a Calcutta, in un lebbrosa­rio di Madre Teresa: “La mia malat­tia è divenuta una visita di Dio”.