Il foglietto "La nostra Domenica"

L'immagine del Cristo pastore è profondamente radicata nel nostro immaginario religioso. Ma non solo: la metafora pastorale è molto presente nelle Scritture giudaico-cristiane. "Pastore" era sinonimo di "re". Ogni monarca, infatti, è pastore di popoli come l'uno che guida e rappresenta i molti, garantendone il benessere o il malessere a seconda che pratichi la giustizia o l'ingiustizia. Ai re spettava l'insensata o tragica opzione della guerra. Questa ha prodotto nella storia massacri inenarrabili. Chiunque lamenti catastrofi che colpiscono e uccidono l'innocente dovrebbe anche considerare l'incalcolabile numero di morti prodotto non da cataclismi imprevedibili ma dalla sola follia umana. Per questa ragione il salmo 23, notissimo componimento pastorale usato con grande frequenza nella liturgia, esordisce così: “Il Signore è il mio pastore”, non senza una sfumatura polemica verso tutte le case regnanti di Giuda e Israele. Solo YHWH (Dio) è vero pastore del suo popolo, preoccupato del benessere di Israele, non dei propri trionfi. Se era il popolo a morire per il proprio re, qui avviene qualcosa di radicalmente nuovo. Tutto il capitolo 10, in cui è inserito il breve brano odierno muove da questa lieta notizia: il Cristo pastore depone la sua vita per poi riprenderla di nuovo (v. 17). Muore per salvare il gregge. Non è un mercenario. Non sarà il gregge a morire per salvare lui. Il rapporto tra una sola vita e la vita di tutti gli altri ritorna d'altronde con enorme evidenza nelle celebri parole di Caifa: “Meglio che uno solo muoia per il popolo, piuttosto che tutto il popolo perisca” (Gv 11,50). Esse, secondo l'evangelista, non sono solo un chiaro calcolo politico, ma una profezia riguardo alla fine di Gesù. Il Maestro ripropone questa metafora riguardo alla propria identità proprio dopo che i giudei lo hanno circondato domandandogli se sia lui il Cristo o no. La forza che ci guida è allora un amore che non si impone. Noi non possiamo immaginare nulla di più forte dell'amore. Eppure l'amore abbraccia come se non abbracciasse e stringe come se non afferrasse. Esso parla alla libertà dell'altro, chiede la sua libera risposta. Se divenisse seduzione o costrizione non sarebbe più amore. Nessuno seguirebbe un agnello per timore o per paura, ma solo perché conquistato dalla sua vigorosa mitezza che conduce alle sorgenti della vita.

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